Perché Unità di Crisi

In questi tempi di pandemia e di conclamata emergenza sanitaria, dovuti al pericolo di contagio da Covid-19, quello che non abbiamo potuto fare a meno di notare è come un fenomeno che solo per certi aspetti può essere considerato straordinario (di certo non lo sono la sua diffusione pandemica, né la sua ricaduta sulla vita delle lavoratrici e dei lavoratori precari), faccia venire alla luce tutte le contraddizioni (sia in termini di carenze strutturali che di inadeguatezza) insite al modello economico che continuamente ci viene rappresentato come l’unico immaginabile e concretamente possibile. In realtà sono almeno vent’anni che ciascuno di noi vive in un costante “stato di crisi” che progressivamente ha inghiottito diritti e libertà che consideravamo inalienabili: il diritto al lavoro, il diritto alla salute e la libertà di circolazione (degli esseri umani).

Per questo le conseguenze dell’emergenza sanitaria non vanno considerate eccezionali (salvo per il drammatico numero di vittime in continuo aumento e che ad oggi ammonta a cinquemila persone, a poco più di tre mesi dall’inizio della pandemia) perché in fondo si tratta dell’ennesima stagione della serie televisiva “Stato di crisi”.

Le imprese scaricano sulle lavoratrici e sui lavoratori i cali di fatturato imponendo improvvisati lavori “a distanza” (non considerando l’aumento del lavoro di cura per chi ha figli o genitori anziani), ferie e permessi non retribuiti, nell’attesa che la collettività se ne faccia carico attraverso gli ammortizzatori sociali in deroga.
Le finte partite Iva e tutti gli atipici vengono immediatamente privati del loro reddito e se possono lavorare, come rider o fattorini, rischiano la loro salute per poche briciole. La sanità pubblica viene chiamata a farsi carico di tutta l’emergenza, dopo anni di tagli e drastiche ristrutturazioni, chiedendo a dei lavoratori (medici ed infermieri) di fare dei turni lunghissimi mettendo a rischio le proprie vite.

Unità di Crisi serve a raccogliere queste storie, perché quando l’allarme Covid-19 rientrerà e faremo i conti realmente con i danni economici di questa pandemia, non vogliamo che siano i soliti a pagarne il prezzo. Perché la crisi globale del 2008 ci ha insegnato che il sistema capitalistico contemporaneo sfrutta ogni stato di eccezione e ne ha fatto anzi un fattore strutturale ed endemico. E’ un modello economico che, anche grazie alla paura, anestetizza il dissenso e cannibalizza ogni possibile via di fuga. A farne le spese non sono più soltanto le fasce di popolazione deboli e marginalizzate o i popoli più economicamente esposti sul piano globale, ma anche tantissime persone nel cuore della ricca Europa. Questa crisi ce lo ha ricordato ancora una volta.

Cerchiamo di non dimenticarlo quanto torneremo alla “normalità”. Iniziamo fin da subito a ridefinire dal basso un orizzonte comune di partecipazione, a partire dalle condizioni materiali delle persone, traendo spunto ed ispirazione dalle loro storie e dalle loro esperienze. Cerchiamo di individuare quei nessi che ci legano per provare a tracciare un percorso di emancipazione trasversale, attraverso conflitto, solidarietà, mutualismo, senso civico e cooperazione sociale.

GigaWorkers


Why Crisis Unit

In these times of pandemic and health emergency, caused by the danger of contagion from Covid-19, what we could not help but notice is how a phenomenon that in certain aspects can be considered extraordinary (certainly not its pandemic spread, nor its impact on the lives of women workers and precarious workers), brings to light all the contradictions (both in terms of structural deficiencies and inadequacy) inherent to the economic model that is continuously represented as the only one imaginable and concretely possible. In reality, for at least twenty years each of us has been living in a constant “state of crisis” that has progressively swallowed up rights and freedoms that we considered inalienable: the right to work, the right to health and freedom of movement (of human beings). 

For this reason, the consequences of the health emergency should not be considered exceptional (except for the dramatically increasing number of victims, which to date amounts to five thousand people, just over three months after the beginning of the pandemic) because, after all, this is the umpteenth season of the television series “State of Crisis”.

Companies are externalising on to workers the drop in revenues they are experiencing by improvising a request to work from “remote” (not considering the increase in care work for those who have children or elderly parents), to take vacations and unpaid leave, while waiting for the community to take care of themselves through the social shock absorbers in derogation. Free lance, independent and atypical workers are immediately deprived of their income and if they can work, as riders in the delivery industry, they risk their health for a few crumbs. Public health is called to take charge of the whole emergency, after years of cuts and drastic restructuring, asking workers (doctors and nurses) to take very long shifts, putting their lives at risk.

Crisis Unit serves to collect these stories, because when the Covid-19 emergency ceases and we go back to normal we will be confronted with the economic damage of this pandemic, and we do not want these workers to be the ones who pay the price. Because the global crisis of 2008 has taught us that the contemporary capitalist system exploits every state of exception and has even made it a structural and endemic factor. It is an economic model which, also thanks to fear, anaesthetises dissent and cannibalises every possible escape route. It is no longer only the weak and marginalised population groups or the most economically exposed people on a global scale who suffer, but also a great deal of people in the heart of rich Europe. This crisis is a reminder of this injustice us once again.

Let us not forget that when we go back to ‘normal’. Let us start right now to redefine a common horizon of participation from below, starting from the material conditions of people, drawing inspiration and inspiration from their stories and experiences. We try to identify those links that bind us to try to trace a path of transversal emancipation, through conflict, solidarity, mutualism, civic sense and social cooperation.
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